APPELLO PER FERMARE LA GUERRA A GAZA.

Pubblicatoda PD Clapiz il 29 Luglio 2014

UNA TREGUA SUBITO PER RILANCIARE UN COMPROMESSO DI PACE.
OGGI E SEMPRE: DUE POPOLI, DUE STATI.

A Gaza si muore. La tregua di sole poche ore strappata ieri non risolve il dramma. A questo punto gli sforzi per un cessate il fuoco effettivo devono moltiplicarsi. Agire si può. Si deve. Per queste ragioni, con questi obiettivi:

• Più di 1000 morti tra i palestinesi, il quaranta per cento donne e bambini. 37 vittime israeliane. A Gaza si soffre e si muore. Il primo imperativo è fermare il massacro.

• Una tregua e il cessate il fuoco siano immediati, e non per poche ore. L’Europa esca dall’immobilismo e assieme alle altre istituzioni internazionali assuma una iniziativa sui tre versanti: diplomatico, umanitario, e di una presenza militare di pacificazione.

• Si avanzi la proposta di una forza di interposizione schierata sul terreno sul modello del Libano con il mandato a evitare la prosecuzione dell’invasione via terra di Gaza e a bloccare il lancio di razzi contro Israele.

• Si riparta dagli accordi già siglati, a cominciare da Oslo ’93. Bloccare gli insediamenti dei coloni e smantellare il Muro (dichiarato illegittimo dalla Corte di giustizia dell’Aia) con cui Israele ha realizzato l’annessione di una parte dei territori palestinesi.

• Si sviluppino azioni di solidarietà verso le popolazioni e le strutture colpite dai bombardamenti di queste settimane, supportando l’azione di associazioni, Ong e volontari che operano già nel teatro di guerra.

• E si ricostruisca una cultura del compromesso e della pace nella coscienza pubblica e democratica. Mobilitiamoci e mobilitiamo il Pd, la prima forza del socialismo e della sinistra europei in un’azione politica, di solidarietà e difesa dei diritti umani, del dialogo, della convivenza. Promuoviamo aiuti umanitari, appelli, presidi, fiaccolate e qualunque altra iniziativa si muova nella linea di ieri e di sempre, quella di due popoli per due Stati.

Oltre 1000 morti tra i palestinesi, il quaranta per cento donne e bambini. 37 vittime israeliane. E ancora, tra la popolazione palestinese i feriti sono 4.605 e 2964 le abitazioni distrutte. E’ il bilancio provvisorio dopo 19 giorni di raid aerei e l’invasione via terra della Striscia di Gaza. C’è da temere purtroppo che questa tragica contabilità possa aggravarsi. Questo è l’esito della spirale di odio e violenza che nelle ultime settimane ha insanguinato la Palestina, prima con l’assassinio dei tre giovani israeliani a cui è seguita la rappresaglia su un adolescente palestinese.

Gaza è oggi teatro di un massacro. Qualcosa che una volta di più ci rovescia addosso il dramma di un conflitto mai risolto e le molte colpe che l’hanno accompagnato. Ogni vittima, palestinese o israeliana che sia, pesa anche sulle nostre coscienze e sulla responsabilità̀ della comunità internazionale.

È giusto che di fronte a tutto questo si levino una indignazione e una protesta corali, assieme all’appello a della comunità̀ cessare il fuoco e porre fine a ogni violenza. Una tregua umanitaria è il primo obiettivo per evitare altre vittime innocenti e la salvaguardia delle popolazioni civili. Ma è anche la sola via per recare sostegno ai feriti, agli sfollati, e per restituire un senso al concetto stesso della dignità umana. Alla tregua deve accompagnarsi la volontà inderogabile di costruire un compromesso per la pace.

Lo sappiamo, appelli o indignazione non bastano. Di fronte a una tragedia del genere la comunità internazionale, a cominciare da un’Europa drammaticamente afona, deve uscire dall’immobilismo. Quel ‘cessate il fuoco immediato’ non va solamente invocato, ma imposto. Si deve mettere fine all’invasione via terra da parte dell’esercito israeliano così come è necessario bloccare il lancio di missili da parte di Hamas anche attraverso una forza di interposizione sul terreno. Va realizzata la protezione internazionale dei civili e il ripristino della legalità internazionale così da riaprire la strada a una soluzione politica.

Quanto accade a Gaza non è una guerra, ma qualcosa che va oltre la logica in sé aberrante delle armi. L’integrità e la sicurezza dello Stato di Israele e della sua popolazione sono un principio intoccabile. Quindi è durissima la condanna delle minacce odiose e criminali che una parte del mondo arabo rivolge allo Stato israeliano. Allo stesso tempo non è giustificabile la violazione dei diritti umani, il massacro di bambini e civili. La pesante asimmetria che il bilancio delle vittime certifica ne è una tragica conferma.

Bisogna ripristinare la legalità in una terra dove quel principio è stato ed è tutt’ora calpestato, e dove per troppo tempo sono state tollerate violazioni persistenti dei diritti della persona e delle risoluzione delle Nazioni Unite.

La società palestinese ha bisogno di ricostruire legami sociali e relazioni di comunità. Senza radici sociali, senza mettere in collegamento l’iniziativa politica coi bisogni della popolazione, i palestinesi non potranno farcela e le ragioni del compromesso continueranno a soffrire. Da parte sua la società israeliana deve ritrovare le ragioni profonde di una pacificazione con il ‘nemico’ e potrà farlo solamente nella sicurezza del proprio territorio e nell’avvenire dello Stato di Israele.

La soluzione non può essere in alcun modo quella militare. Sarebbe uno sterminio.

Ma perché si ricreino le condizioni per una soluzione politica bisogna che l’Europa, il nostro governo e le istituzioni internazionali agiscano da subito attivando una vera strategia fondata sull’iniziativa politica e diplomatica, sull’azione umanitaria e su una assunzione di responsabilità sul piano operativo e di una presenza sul terreno. Bisogna ripartire dagli accordi già siglati e mai attuati, come quelli di Oslo nel ’93. Bloccare gli insediamenti dei coloni e smantellare il Muro (dichiarato illegittimo dalla Corte di giustizia dell’Aia) con cui Israele ha realizzato l’annessione di una parte dei territori palestinesi.

Noi crediamo nel diritto dei due popoli a vivere in pace e sicurezza nella propria terra. Lo crediamo perché il solo futuro possibile per israeliani e palestinesi sta in un riconoscimento reciproco e nella convivenza di due Stati.

Per tutte queste ragioni a chi conviene che la pace diventi impossibile? Non a Israele, che rischia di ritrovarsi solo in mezzo a nemici. Non al futuro del Medio Oriente, dove il rischio è che l’alternativa ai regimi dittatoriali siano solo i fondamentalismi. Non agli Stati Uniti di Obama. Non alle società europee, che vivono sulla faglia dello scontro di civiltà e che avrebbero tutto l’interesse a creare una dinamica più serena sulla sponda sud del Mediterraneo. Eppure la possibilità che ogni soluzione sfumi nel nulla è concreta. La violenza, l’odio, gli estremismi si alimentano a vicenda. E’ una barbarie senza fine. L’inerzia delle Nazioni Unite rischia di diventare complicità. Bisogna rompere questa spirale coi diritti, la democrazia, la partecipazione.

Dedicarsi a una pace giusta in Palestina oggi ha, dunque, altri significati che non il solo sostegno a due popoli che hanno sofferto fin troppo. E’ un interesse per tutti, e anche per noi. Ci propone una riflessione nuova, che non separa la politica estera da quella interna e che riesce a dare il senso della sfida che intorno a Gaza si sta giocando.

C’è bisogno di un nuovo movimento per la cooperazione e la pace, capace di spostare la politica, di costruire un nuovo pensiero sulle macerie dello scontro di civiltà. Di costruire comunicazione, discussione pubblica, aiutando le persone a sapere e capire cosa succede e allontanandoci dal baratro in cui rischiamo di precipitare.

Ricostruire una cultura e un’azione per la pace nella coscienza di un’opinione pubblica democratica: ecco la prova alla quale siamo chiamati. Tanto più difficile nel momento in cui ogni spiraglio di dialogo sembra farsi più esile.

Nessuno può chiamarsi fuori o nascondersi dietro l’alibi di un realismo impotente. Noi crediamo che la politica non sia mai impotente. Ma sappiamo che la volontà di milioni di persone può alimentare le ragioni del dialogo anche quando tutto sembra spingere nella direzione opposta.

Tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, con la solidarietà concreta, con l’azione politica, col coraggio e la coerenza dei valori più profondi, quelli della vita e della pace.

Gianni Cuperlo

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