Diritti Democratici, i diritti civili obiettivo del Partito Democratico

Pubblicatoda PD Clapiz il 11 Giugno 2014

Qui di seguito potete leggere il documento completo dei Diritti Democratici. Puoi aderire anche tu inviando una mail a dirittidemocratici@gmail.com

 

Diritti Democratici, i diritti civili obiettivo del Partito Democratico

Noi riteniamo che il PD debba riportare al centro dell’agenda politica il tema dei diritti civili, e riteniamo anche che nel nostro paese, imprescindibile punto di partenza per la trattazione di questo argomento debbano essere gli articoli 2 e 3 della Costituzione Italiana. Articoli tra i più belli e disattesi della nostra carta, che già di per sé, proprio nella parte in cui affida alla Repubblica il compito di “riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2) e di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3) danno da più di cinquant’anni al legislatore un’indicazione chiara ed esaustiva di ciò che ci sarebbe da fare in materia di diritti e discriminazioni. Indicazione ad oggi ancora drammaticamente inascoltata.

Ecco perché non è più tollerabile pensare che questi temi siano vittime di benaltrismo e che si conquistino un piccolo posto fra i ritagli di tempo concessici dalla trattazione dei problemi più seri (c’è la crisi, c’è la disoccupazione, le tasse sono alte, ecc. ecc.).

E’ utile ricordare che nel panorama europeo, l’Italia si colloca insieme ad altri Stati come fanalino di coda in tema di diritti LGBTQI* (Lesbo Gay, Trans, Bisex, Queer, Intersex e *), non essendo ancora stata in grado di legiferare nemmeno sull’omotransfobia.

 

La lotta per i diritti civili è la lotta di classe.

L’arretratezza su questi temi penalizza ancora di più e ancora una volta chi ha di meno perché, chi non ha problemi economici, vedrà coronato all’estero il proprio sogno di diventare genitore (adozioni gay e fecondazioni assistite), di ricevere cure frutto di sperimentazioni qui vietate, di un fine vita da potersi affrontare con dignità e rispetto e di essere considerato cittadino a tutti gli effetti da uno stato che non ti discrimina per il tuo orientamento sessuale (matrimonio per tutti)

“Vogliamo tutto” era lo slogan del Gay Pride di un anno fa. Vogliamo tutto perché ogni diritto diverso, ogni diritto di serie B farebbe della comunità LGBTQI*, una comunità di cittadini di serie B.

Vogliamo il diritto al matrimonio per assumerci i doveri del matrimonio. Vogliamo poter accedere all’istituto dell’affidamento e delle adozioni perché un bambino in una coppia omosessuale potrebbe trovare quelle cure e quell’amore che nemmeno il miglior istituto al mondo potrebbe offrirgli. Prima di parlare di adozioni gay in Italia, però, sarebbe opportuno parlare di adozioni in generale, viste le regole capestro che portano ad una vera e propria compravendita internazionale di minori.

Vogliamo tutto perché se è lo Stato che discrimina, anche i violenti e gli omofobi continueranno a sentirsi in qualche modo legittimati e protetti da chi invece dovrebbe garantire la sicurezza di qualsiasi cittadino senza distinzioni di sorta.

E, infine, vogliamo uno Stato che sia veramente laico in cui si possa dare a tutti la possibilità di sposarsi, di adottare e di decidere sul proprio fine vita. Poi sarà il cittadino credente, destinatario di un messaggio di fede ben preciso, a decidere secondo la propria coscienza se utilizzare o no gli strumenti giuridici che lo stato gli offre. Negarli a tutti per non offendere la morale di qualcuno è un crimine che non possiamo più permetterci. Una battaglia di civiltà per l’Italia del futuro.

 

Contro le discriminazioni, verso l’uguaglianza.

L’Italia è relegata agli ultimi posti di tutte le classifiche sulla qualità della vita e sulla salvaguardia dei diritti fondamentali. Nel nostro Paese non sono solo compromessi i diritti LGBTQI*, ma le discriminazioni riguardano vari aspetti della quotidianità di molti cittadini italiani: giovani donne costrette a prostituirsi, bambini che vengono trattati come oggetti durante lunghissime cause di divorzio, persone transessuali che non possono condurre un’esistenza normale. A questo proposito chiediamo l’approvazione di una legge che istituisca l’aggravante di omotransfobia all’interno della Legge Mancino del 1992, colmando la lacuna giuridica che esclude de facto tutti le cittadine e i cittadini LGBTQI* dalla tutela della propria persona e della propria dignità. Una legge che partendo da alcuni aspetti positivi della proposta dell’onorevole Scalfarotto (ad oggi in attesa di essere approvata, dopo la Camera, anche dal Senato), attraverso il coinvolgimento dell’associazionismo e della comunità LGBTQI* del paese, ne superi e chiarisca alcune criticità ad oggi oggetto di dibattito per una sua piena e reale efficacia.

Abbiamo da recuperare più di 15 anni rispetto al contesto comunitario che ha sancito il principio di non discriminazione nel lontano 1997 con il Trattato di Amsterdam, confermandolo con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea a Nizza del 2000, e che ha reso operativo con le direttive 2000/43, 2000/78 e 2004/113, per non parlare della la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU) più volte richiamata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo a tutela dei diritti delle coppie omosessuali (casi Schalck e Kopf c. Austria e Valliantos e altri c. Grecia diventati ormai delle pietre miliari in tema di riconoscimento dei diritti delle coppie LGBTQI*). La costruzione di una società più giusta deve assolutamente partire dal riconoscimento della tutela di tutte le persone che la compongono. Senza lasciare indietro nessuna ma andando avanti tutti insieme. Per questo motivo bisogna far si che il nostro Parlamento approvi una legge seria di contrasto ai fenomeni discriminatori per orientamento sessuale e identità di genere che prenda il meglio dalle legislazioni europee e che non rappresenti l’ennesimo compromesso al ribasso.

Lo dobbiamo fare anche perché siamo ad oggi la prima delegazione del PSE, quella stessa formazione politica che qualche mese fa ha approvato la Risoluzione Lunacek che impone una roadmap europea sui temi LGBTQI*. La lotta all’omotransfobia deve essere una delle priorità del nostro Partito e del Governo visto che tali fenomeni diventano sempre più frequenti e hanno trasformato la situazione delle persone omosessuali e transessuali in una vera e propria emergenza sociale (secondo le stime di Gay Center solo nel 2011 le segnalazioni sono state 750, mentre secondo il Report Arcigay 2013 lo scorso anno i casi segnalati sulla stampa sono stati 75).

 

Una riforma seria del diritto di famiglia.

Riteniamo necessario parlare di famiglie e non di famiglia, perché dobbiamo riconoscere la complessità sociale presente nella società moderna. Tutti i cittadini devono avere il diritto di contrarre un matrimonio civile. Crediamo fortemente che in questo Paese sia necessaria una riforma generale del diritto di famiglia che possa tenere conto dei mutamenti che a partire dagli anni ’70 si sono verificati e che sono diventati particolarmente significativi nel corso degli ultimi decenni.

Negli ultimi anni, infatti, la politica sembra avere smarrito il proprio ruolo, frenata da contrapposizioni ideologiche sui diritti, che le hanno impedito di dare risposte normative adeguate, costringendola sempre più spesso a delegare ai giudici scelte consistenti e di merito che spetterebbero al legislatore. La situazione paradossale che si è creata è che, in assenza di un intervento generale da parte del Parlamento, sono stati soprattutto i giudici a dare qualche risposta, seppur ridotta e parziale alle sempre più pressanti richieste di riconoscimento dei diritti delle coppie LGBTQI*. Da qui nascono le numerose pronunce della Corte Costituzionale che ha tentato, in più passaggi, di riconoscere e garantire i diritti delle coppie di fatto , seppur nei limiti che il potere giudiziario deve avere all’interno di un ordinamento, ossia interpretando e dando attuazione ai principi inderogabili espressi dalla Costituzione allarticolo 2 che riconosce e tutela le formazioni sociali e all’articolo 3 (principio di uguaglianza e di non discriminazione) e, fin anche all’art. 29 (tutela della famiglia).

Basti ricordare la sentenza n. 138 del 2010 (e così anche le due successive ordinanze, n. 276 del 2010 e n. 4 del 2011) in cui la Corte ha avallato un’interpretazione evolutiva del principio costituzionale a tutela della famiglia, riconoscendo all’unione omosessuale, intesa come legame stabile di convivenza tra due persone dello stesso sesso, il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia e auspicando che tali unioni possano ottenere – sempre nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Nella stessa direzione e con gli stessi auspici si è mossa anche la Corte di Cassazione (Cassazione Civile , n. 4184 del 2012) affermando che, sulla scorta delle pronunce della Corte di Strasburgo, nonostante i componenti di una coppia omosessuale non possano far valere in Italia il diritto a contrarre matrimonio e il diritto alla trascrizione del matrimonio concluso all’estero, essi sono tuttavia titolari del diritto alla vita familiare e del diritto inviolabile di vivere liberamente la propria condizione di coppia (da qui la Sez. I con la Sent. N. 601 del 2013 si è spinta ad affrontare positivamente l’affido di minore a coppie composte da persone dello stesso sesso).

Ma il giudice, pur ispirato dalle pronunce delle Corti Europee e ben più lungimirante del legislatore, non ha potuto che (o meglio ha ritenuto di) muoversi all’interno delle leggi e dell’ordinamento. Ha stabilito un limite invalicabile, ossia che il problema del riconoscimento dei diritti delle coppie LGBT non può essere risolto e superato per via ermeneutica; non basta una rilettura del sistema o un abbandono della prassi interpretativa. Le Corti non hanno inteso e non intendono – e a ben guardare non è loro compito – procedere ad un’interpretazione creativa del diritto esistente. Vi è, al contrario, un bisogno pregnante di nuove leggi, di leggi che garantiscano senza compromessi la libera espressione di ciascun individuo sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui manifesta la sua personalità (art. 2 Cost.), di leggi che accolgano il mutamento della società e che non cristallizzino uno status quo ante che non risponde più al comune sentire. Leggi inclusive e non esclusive, che riconoscano e supportino la potenzialità, che valorizzino le diverse espressioni e che consentano di vivere in un ordinamento che garantisca a ciascuno il diritto alla ricerca della propria felicità.

Siamo convinti che essere riformisti significhi essere capaci di interpretare le nuove richieste provenienti dalla società e trasformarle in progettualità politica e, quindi, in nuove leggi: proprio per questo nonostante riconosciamo da un lato che una riforma di questo genere sia difficile e complicata, dall’altro riteniamo di essere in grado di portarla a termine, confermando di essere IL Partito Democratico, progressista e socialista (nel senso europeo del termine). Per tutti questi motivi continueremo a batterci su un doppio binario per quatto riguarda l’approvazione delle unioni civili: da una parte come punto di partenza, come strumento che sia preparatorio all’istituzione del matrimonio egualitario, come successo in altri Paesi europei come Spagna, Inghilterra e Francia, dall’altra come istituto meno oneroso in quanto a diritti e doveri, rispetto al matrimonio, al quale tutte le coppie (siano esse eterosessuali o omosessuali) possano accedere.

All’interno del nuovo diritto di famiglia che abbiamo in mente riteniamo fondamentale affrontare anche le questioni riguardanti i bambini e le adozioni

Vogliamo che lo Stato sia in grado di applicare correttamente la Convenzione sui diritti dell’infanzia approvata dall’Assemblea dell’ONU e ratificata in Italia nel 1991.

In merito all’adozione bisognerebbe prima di tutto fare chiarezza su una cosa: in Italia esistono già almeno 100mila bambini nati in famiglie con genitori dello stesso sesso. Esistono già. Questi figli vivono in un limbo legislativo in cui una delle persone basilari della loro vita (che sia una mamma o un papà), per lo Stato non conta nulla. Chiediamo quindi, per prima cosa, di tutelare questi bambini introducendo la step-child adoption, l’ossia la possibilità del genitore non biologico di adottare legalmente il figlio del proprio partner, come avviene negli altri paesi europei, ad esempio in Germania dove le unioni civili (a cui lo stesso PD guarda) la prevedono.La seconda proposta necessita di una premessa. In Italia le adozioni sono sostanzialmente precluse anche alle coppie etero, alle quali vengono richiesti requisiti precisi, che la grande maggioranza delle famiglie naturali non ha. Non si deve ragionare in termini di diritto della coppia di avere un figlio, bensì in termini di diritto del bambino ad avere una famiglia. Per questo chiediamo che le pratiche di affido ed adozione vengano snellite e limitate ai soli accertamenti psichiatrici da effettuare sui futuri genitori. Se una coppia ha un reddito modesto o una cameretta singola per due bambini non significa che non potrà amare un figlio adottivo. Eliminiamo la burocrazia inutile. Per quanto concettualmente difficile possa rivelarsi da accettare, un bambino troverà sempre più amore in un nucleo famigliare (sia esso omosessuale o eterosessuale) che non all’interno di un istituto.

Tutto questo per dire senza se e senza ma che siamo convinti che una famiglia si basi sull’amore e non sul sesso o l’identità di genere dei partner.

 

Liber* di essere se stess*

Parlare dei diritti della comunità LGBTQI* significa anche sottolineare la libertà di essere se stessi e di vivere liberamente la propria identità di genere. Non si può più ignorare la questione delle persone transessuali da sempre messe all’angolo ancor più delle persone omosessuali.

Le persone transessuali combattono quotidianamente una battaglia a volte ancora più dura contro stereotipi e pregiudizi che riguarda ogni aspetto della loro vita, specialmente quella lavorativa. Viviamo in un Paese che non si è mai interessato di tutelare la persona trans gender nei luoghi di lavoro abbandonandola troppo spesso a se stessa, col rischio, ampiamente comprovato, che essa si rivolga al mercato della prostituzione mettendo in vendita non solo il proprio corpo, ma anche la propria dignità e la propria transizione.

Siamo fortemente convinti che per sostenere le persone transessuali il PD deve impegnarsi in battaglie concrete: la prima, e più importante, è quella della revisione della legge per il cambiamento dei dati anagrafici per le persone in transizione. Seguendo l’esempio degli altri Paesi europei dobbiamo rendere concreta la possibilità per le persone transessuali di modificare i propri dati anagrafici una volta iniziato il percorso di rassegnazione del genere facendo si che si superino situazioni di inadeguatezza tra i dati presenti nei documenti ufficiali e l’identità della persona. A questo proposito bisogna guardare alle legislazioni più avanzate come quella tedesca che prevede la cosiddetta “piccola soluzione”: il cambio anagrafico è possibile alla documentazione sanitaria che attesta la disforia di genere e il percorso di transizione, senza dover aspettare l’operazione chirurgica di rassegnazione del sesso. Comprendendo la complessità della riforma in questione chiediamo che nel frattempo il PD incoraggi quelle pratiche possibili già a livello locale che prevedono la copresenza di documenti ufficiali e non ufficiali con i dati anagrafici rispettosi dell’identità di genere, Il PD deve ripartire da qui per arrivare poi a combattere la disoccupazione delle persone transessuali in pieno ossequio con la strategia Europa 2020 che chiede il pieno inserimento lavorativo delle categorie sociali abitualmente più a rischio nel mondo professionale.

 

La scuola come laboratorio della diversità

La costruzione di una società giusta ed egualitaria non può prescindere dalla formazione di una nuova classe dirigente capace di intercettare la diversità come fenomeno positivo e di arricchimento. Viviamo in un mondo dove la globalizzazione non è solo un fenomeno economico ma anche sociale che ha determinato lo sviluppo di comunità sempre più melting-pot. Proprio per questo il nostro ruolo di democratici deve essere quello di premere affinché si raggiunga una cultura della differenza basata sul principio del rispetto. Riteniamo fondamentale che questo percorso di formazione si realizzi all’interno delle scuole, il luogo dove le nuove generazioni vengono formate ad affrontare la vita.

È opportuno garantire l’effettivo insegnamento dell’educazione civica nelle scuole primarie ed in quelle superiori, perché ai cittadini del futuro siano date le conoscenze necessarie per agire in ottica collettiva ed in totale legalità. Stimolare negli studenti il senso civico non è solo un dovere nei loro confronti, ma anche un investimento per la Nazione. Un dovere che diventa ancora più importante visto l’incremento dei fenomeni di bullismo anche a sfondo omofobico che si registrano in considerevole aumento. Questo testimonia come sia fondamentale andare ad intervenire nella scuola per prevenire che focolai trascurati di violenza e odio possano determinare in futuro il perpetuarsi di atteggiamenti violenti e discriminatori. Ma nessun intervento sarà mai davvero efficace senza una effettiva preparazione del corpo docente stesso su come trattare e affrontare situazioni di violenza che coinvolgano anche i ragazzi omosessuali. Riteniamo sia opportuno che il Partito Democratico si batta, a livello parlamentare e nelle sue espressioni governative, per una riforma generale dell’educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole medie inferiori e superiori. La comunità scolastica rappresenta, insieme con l’ambiente familiare, il luogo principale di sviluppo e costruzione della personalità del fanciullo e del giovane. È per questo che proponiamo l’inserimento di programmi di educazione affettiva e sessuale, intendendo, con tali denominazioni, dei percorsi didattici che, oltre a fornire le basilari nozioni relative alla fisiologia maschile e femminile, alla contraccezione (l’informazione su certi argomenti non è mai troppa), ponga i presupposti per uno sviluppo della cultura della tolleranza e di una sessualità intelligente, attenta, non discriminatoria, e rispettosa. L’educazione sessuale-affettiva è un tassello irrinunciabile nella formazione di individui che, un giorno, rifiuteranno l’omofobia, la trans fobia, ma anche altri fenomeni illegali legati al sesso o all’orientamento sessuale.

 

Il PD, la società civile, gli attori istituzionali e il ruolo dei circoli

Come viene sottolineato anche dagli indirizzi comunitari, elaborare delle strategie politiche su questi temi deve essere il punto centrale dell’impegno del nostro partito. Un impegno che deve rinsaldare il rapporto tra politica e società civile, riportando il partito ad essere il tramite capace di intercettare le richieste provenienti dal basso inserendole negli obiettivi della progettualità politica e di governo. Per questo motivo l’azione del PD su questi temi deve basarsi sul consolidamento dei network associativi, ponendosi come interlocutore politico pronto ad ascoltare le loro istanze e a trasformale in azioni politiche. A questo proposito sosteniamo con convinzione che debbano essere riaperti spazi di confronto interno al Partito Democratico accessibili non solo ai militanti ma anche alle associazioni. È necessario che il PD riattivi un Forum nazionale sui diritti civili capace di contribuire in maniera costante all’elaborazione delle politiche di uguaglianza di cui questo paese ha estremo bisogno e che sia al suo interno ramificato in base alle varie aree tematiche e gruppi sociali da tutelare (donne, migranti, disabili, comunità LGBTQI*). Uno spazio unico ma eterogeneo, convinti che solo con una visione di riforma a 360° sia possibile cambiare questo Paese e ricostruire un sistema efficiente di Welfare State. In questo complesso processo di policy making il PD deve diventare l’interlocutore privilegiato anche degli attori istituzionali maggiormente interessati: il Governo, il Dipartimento Pari Opportunità e l’UNAR.

Altrettanto importante deve essere il ruolo dei circoli territoriali che devono diventare veri e proprio laboratori di best practices da mettere in rete su tutto il territorio nazionale. Il lavoro dei circoli può determinare l’avvio di una rivoluzione culturale su questi temi che non si è naturalmente avviata nel corso degli ultimi decenni. Il PD può vantare di essere il partito maggiormente radicato nei territori, e deve valorizzare questo aspetto utilizzandolo come il proprio cavallo di battaglia. Chiediamo infatti che su questo documento si apra una discussione che inizi proprio tra i circoli dando avvio ad un processo bottom/up.

In attesa, poi, che il legislatore centrale si concentri sulla questione delle unioni civili (eterosessuali ed omosessuali) e il matrimonio egualitario, sarebbe auspicabile che tutti i comuni e le regioni governati da esponenti del Partito (direttamente o in coalizione) introducessero i registri delle unioni di fatto (sempre per coppie eterosessuali ed omosessuali). Se riuscissimo a creare una rete (anche con scambio di servizi, tutele etc) molto estesa sul territorio nazionale di comuni o realtà superiori che si impegni nella tutela dei diritti di tutti i cittadini, oltre a portare avanti ciò che la Società e l’art. 3 della Costituzione ci chiedono, si riuscirebbe un po’ anche a “forzare la mano” agli organi centrali, rendendo strettamente necessaria una regolamentazione di queste unioni su scala nazionale.

La lotta ai pregiudizi e agli stereotipi per una società più giusta e più uguale

Secondo l’OMS, le persone omosessuali sono circa il 5/10% della popolazione mondiale. Questo significa che in un parse come l’Italia stiamo parlando di circa 5 milioni di cittadini. 5 milioni di cittadini ancora senza diritti: la popolazione di due metropoli come Roma e Milano messe insieme.

Anche alla luce di questi numeri il Partito Democratico deve intraprendere una battaglia di contrasto ai pregiudizi e agli stereotipi che ancora affliggono le persone LGBTQI* nella vita quotidiana. Una battaglia che deve svolgersi a fianco dei più deboli e delle associazioni, contribuendo al successo delle campagne di sensibilizzazione su questi temi. Chiediamo che il PD superi la sua timidezza dichiarando apertamente di combattere al fianco delle cittadine e dei cittadini che subiscono discriminazioni. Chiediamo inoltre che il PD a livello nazionale appoggi sempre le manifestazioni organizzate dalla comunità LGBTQI*, nei territori o a livello nazione, e specialmente i Gay Pride che nel nostro Paese rappresentano sicuramente la più grande, almeno mediaticamente, manifestazione organizzata su questi temi.

Chiediamo infine che il PD sia un PD coraggioso, che esca dal torpore del “non-ne-parlo”, che inizi ufficialmente sin da subito al suo interno questa discussione affinché sappia cambiare verso all’Italia non solo dal punto di vista politico, economico, strutturale, ma anche sociale, attraverso la proposta di una legge quadro che trasformi i Diritti Democratici qui descritti, in Diritti di tutti gli italiani.

Dario Ballini, Filippo Rossi, Gianmarco Capogna, Matteo Cervi, Dario Davanzo, Francesco Dell’Acqua, Michele Albiani, Federica Reale, Gabriele Antonio Mariani

 

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